23 aprile 2016
Perché le cicatrici e le crepe…sono preziose come l’oro.
L'arte giapponese del Kintsugi come metafora di vita.

L’arte del kintsugi, letteralmente “riparare con l’oro”, è una pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di oro o argento liquido per la riparazione di oggetti in ceramica, usando il metallo per saldare assieme i frammenti.
La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione, estetica e interiore.
Se qualcosa si rompe, noi (occidentali) siamo invece pronti a buttarla via senza esitazione, sbarazzandoci di ciò che non funziona, poco importa che si tratti di un vaso regalato da un vecchio amico, di un amore, di un’amicizia o di una speranza.
E’ una vera e propria metafora della nostra vita: a chi non è capitato di subire rotture e ferite nel corso del proprio cammino esistenziale?
In Occidente culturalmente si fa fatica ad accettare, a diventare consapevoli e a fare la pace con le proprie crepe tanto del corpo quanto dell’anima. Le ferite, le spaccature e le fratture sono percepiti come fragilità, imperfezione, sono additati e colpevolizzati.
La vita porta invece insieme integrità e rottura, ricomposizione e costante mutamento.
Così anche per le persone che hanno sofferto ed hanno ferite nel corpo e nell’anima è possibile valorizzare le proprie cicatrici acquisendo una nuova bellezza e preziosità. Il dolore, la sofferenza è parte della vita, se impariamo a sentirlo e a riconoscerlo in primo luogo ci insegna che siamo vivi. Poi, una volta elaborato, passa e lascia cambiati, a volte più forti, a volte più saggi. In tutti i casi lascia comunque un segno.
Ecco perchè da un’imperfezione, da una crepa, può come per magia nascere una forma nuova, unica e ancora maggiore, di perfezione estetica. Proprio come le nostre vite.
Le persone che hanno sofferto possono diventare ancor più preziose. I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi lo hanno compreso più di sei secoli fa e lo ricordano sottolineandolo con l’oro.
Pensate ancora che le vostre ferite vadano nascoste? O sarebbe meglio, invece, farle evolvere e risplendere, proprio come si fa con l’arte del Kintsugi?