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20 giugno 2014

Il Giardino di Boboli, lo storico parco di Firenze

Il giardino all'italiana più bello del mondo, un luogo vivo dentro la città

boboli_EVIDENZA

E’ il luogo dove i liceali fiorentini vanno a fare forca, a saltare la scuola. Forse, vista la portata culturale e storica del luogo, è qui che i licei di Firenze dovrebbero fare lezione. Quantomeno, d’estate, perché parliamo di uno tra i giardini più belli del mondo, se non del più bello: quello di Boboli.

Il nome affonda le sue radici nella leggenda. A quanto pare, prima che i Pitti comprassero la terra per costruire il palazzo e i conseguenti giardini, quell’appezzamento, che giace sulla collina che chiude, a sud, il centro di Firenze, era di proprietà dei Borgolo. Dal nome degli orti dei Borgolo, chissà come, è venuto fuori Boboli, Dio sa come.

Gli orti diventano giardini a partirea dal 1549. Eleonora di Toledo, consorte di Cosimo I de Medici. E’ così che è nato il primo nucleo del giardino, quello che ha il suo cuore nell’anfiteatro, ricavato nella conca dalla quale fu estratta la pietra per costruire il Palazzo Pitti.

L’architetto del giardino, quel Niccolò Tribolo che aveva realizzato qualche anno prima quella meraviglia botanica che era il giardino della Villa medicea di Castello, morì dopo poco. Per cui, la direzione dei lavori passò ad altri due pesi massimi dell’architettura del tempo: Barlolomeo Ammannati e il Buontalenti.

Il resto è storia: l’ampliamento di Cosimo II, all’inizio del ‘600, triplicò l’estensione del giardino facendolo arrivare fino a Porta Romana grazie al viottolone, un grande viale alberato dal quale si diramano altri piccoli vialetti. Quando arivarono i Lorena, aggiunsero la Kafferhaus, una palazzina dedicata alla bevanda appena scoperta dalla nobiltà europea: il caffè.

Nonostante fosse una tappa obbligata per i visitatori di tutto il mondo, questo capolavoro del giardino all’italiana è stato sottoposto a tutela Unesco dal 2013 e ospita opere scultoree e fontane che spaziano dal Rinascimento all’arte contemporanea.

Foto: Wikimedia Commons




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